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Menone o Della virtù.

Dialogo di Platone. Composto intorno al 380 a.C., anteriore al Protagora e al Gorgia, introduce ai dialoghi successivi (Fedone, Simposio, Fedro) anticipando alcuni elementi della dottrina della reminiscenza. Socrate e i suoi interlocutori (Menone, Anito e uno schiavo di Menone) discutono della virtù, se possa essere insegnata e appresa: è necessario darne prima una definizione, per cui occorre conoscere che cosa sia la virtù stessa. Ne deriva il quesito generale di che cosa sia la conoscenza. Quindi Socrate enuncia la teoria della reminiscenza: la conoscenza non è che reminiscenza, e dunque imparare è ricordare, portare alla luce nozioni apprese dall'anima nel periodo anteriore alla vita terrena, prima di unirsi al suo carcere corporeo. Per trovare una conferma alla sua teoria, Socrate procede poi a un esperimento con lo schiavo di Menone: gli sottopone un difficile problema di geometria, e stimolandolo con domande opportune, fa sì che giunga alla soluzione. In questo modo dimostra che la verità è già presente nell'anima dello schiavo e che con l'ausilio di poche domande è possibile farla affiorare. Accertata la presenza nell'anima di opinioni vere, si torna al problema della virtù e della sua insegnabilità: si stabilisce che quest'ultima deve essere coniugata con la sapienza; inoltre, poiché non è possibile indicare maestri di virtù e sapienza, si giunge alla conclusione che la virtù è un bene innato, un dono divino.